sabato 1 novembre 2008

Omaggio a Silvano Baracco (Johnson)

Baloncieri una poesia di Silvano Baracco
Un dono per ricordare un grande artista
Silvano Baracco ci ha lasciato il 21 gennaio 2005, soffriva da tempo di una terribile malattia genetica contro cui ha combattuto a lungo con grande coraggio e dignità. Ci ha lasciato un grande artista, un esteta, un maestro della parola, era nato il 16 giugno del 1959, aveva iniziato come cabarettista nel 1975, aveva pubblicato un romanzo (scritto in copia con me) nel 1982 (ma lo avevamo finito nel 1976), ha poi scritto poesie, commedie, canzoni, una commedia musicale, spaziando in tutti gli ambiti letterari. Autentico affamato e appassionato della parola e della comunicazione aveva tenuto per anni un sito letterario, di cui era stato il fondatore e il webmaster, “Libereparole”, molto conosciuto nell’ambiente internet. Artista di nicchia aveva sempre privilegiato il contatto diretto con i suoi lettori, memorabili le serate in cui leggeva e interpretava le sue opere. Autoeditava le sue opere e le faceva circolare tra un ricercato gruppo di lettori. Amante della musica, era anche un valido cantante e un musicista, purtroppo della sua produzione musicale non è rimasto nulla, non avendo lasciato nemmeno uno spartito di quanto da lui prodotto (amava inventare le musiche in funzione di qualche sua rappresentazione, poi le distruggeva).
Io ho avuto la fortuna di condividere con lui molti dei miei scritti e delle mie avventure artistiche, rispettando la sua volontà cercherò di editare le sue opere negli anni a venire. La sua produzione letteraria è un’autentica officina linguistica, spaziando in praticamente tutti i generi, dal drammatico al comico. Ritengo che Silvano diventerà un autentico caso letterario, ci troviamo di fronte ad uno dei più grandi scrittori contemporanei, un artista che fece della discrezione una scelta, ma che è già molto conosciuto ed apprezzato da numerosi intenditori. Silvano è la prova che si può essere grandi artisti pur scegliendo di restare al di fuori del mercato.
Qui di seguito è presente una sua opera, un carme in endecasillabi dedicato ad un grande calciatore alessandrino, Baloncieri, ma il grande Balon non è il solo protagonista della storia narrata, è piuttosto la chiave da cui parte un’altra storia, ma è meglio che mi interrompa qui e vi auguri buona lettura…
Edgardo Rossi

P.S: Per chi volesse iniziare a conoscere Silvano, in internet è ancora possibile rintracciare il suo romanzo breve “Il giullare di Chesterfield”, basta digitare il titolo o Silvano Baracco su un motore di ricerca, era stato pubblicato dalla Edes, o il suo racconto “L’uomo dei vetri”

BALONCIERI

I
Carlo ha un berretto, grigio come gli occhi,
e lo tiene premuto, con la mano,
perché la brezza non lo porti via
mentre taglia la nebbia del mattino;
pedala forte, giù per la discesa,
sulla sua bici, che fu di suo nonno
poi di suo padre, poi di suo fratello
Aristide, caduto a Caporetto;
scende dal Cristo (1), verso la stazione,
lo sguardo attento, mani sul manubrio,
stretta tra i denti la sua sigaretta;
ha sedici anni, ormai è un uomo fatto
del secolo che avanza, la mattina
di una domenica di fine ottobre.
Gina lo aspetta, al posto stabilito,
fissa la strada, coi suoi occhi scuri,
col batticuore dei suoi quindici anni;
ritaglia e incolla nella mente i tratti
della figura che tra qualche istante
deve apparire, dietro a quella curva,
e mischia la paura di vederlo
con il terrore che lui non arrivi;
è tardi, forse si è dimenticato,
magari l'ha soltanto presa in giro,
oppure ha avuto qualche impedimento,
senza nemmeno poterla avvisare:
il telefono è un lusso per i ricchi;
e ai genitori, ieri sera, ha detto
che andava a Valmadonna (2), da un'amica.
Carlo è magro, ma forte, tutto nervi,
si è fatto i muscoli in cantiere e al sole
della campagna, l'ultima vendemmia,
e quest'estate, raccogliendo il grano
per le cascine, su nel Monferrato.
Gina è minuta, ma anche lei è forte,
e bella come una rosa di Maggio,
fa l'operaia, undici ore al giorno
taglia ed incolla, giù alla Borsalino (3),
e poi la sera, al lume di candela,
aiuta a far lavori da sartora
sua madre, insieme ad altre due sorelle.
I due destini si son visti, a un ballo:
si sono uniti in un solo destino.
Gina ha paura, tiene gli occhi chiusi,
seduta sulla canna della bici,
ma Carlo spinge forte sui pedali,
deve sfogare la sua gioia immensa
che non potrebbe esprimere in parole.
Al Bormida (4) non c'è quasi nessuno,
fa troppo freddo, non è più stagione,
ma a Gina e a Carlo bastano gli sguardi
per riscaldarsi, e si sta meglio soli.
Per una volta, fanno cose pazze,
come i signori, o gli americani,
Carlo vorrebbe fare una nuotata,
Gina gli da del matto, e lo trattiene;
e poi mangiano insieme, all'aria aperta,
Carlo ha portato la frittata e il vino,
Gina la frutta e una grissia (5) di pane.
"Gina, lei è una ragazza molto buona,
ed anche molto seria, l'ho capito."
"Anche lei, Carlo. Anche lei è buono."
Carlo sorride, e beve un po' di vino.
“A che ora deve ritornare a casa?"
"Nel pomeriggio, prima che si scura. (6)"
"Ah, meno male, allora abbiamo il tempo:
viene con me a vedere la partita?"
"Dove?" "Negli Orti (7), gioca l'Alessandria.
Vedrà che bello è il gioco del pallone!"
"Andiamo allora, vengo volentieri.
Anche lei, Carlo, sa giocarlo bene?"
"Sì, con gli amici, per divertimento,
però un mio caro amico, Giovannino (8),
che ha quindic'anni e sta alla Canarola,
vedesse, Gina, come sa giocare:
dicono tutti che sarà un campione!
Andiamo allora, che prima si arriva
meglio si trova il posto per vedere."
"Andiamo, sì, però non corra troppo."
"Ma Gina, sono un asso del pedale!
Con me non deve avere mai paura,
ché nel pallone sono un dilettante,
ma in bicicletta ho vinto delle gare,
e non son mai caduto in vita mia.
Lo sa come mi chiamano gli amici?"
"No, me lo dica." "Carlèn Girardengo! (9)"
Così dicendo si alza, gonfia il petto,
appoggia un pugno al fianco, e l'altra mano
porta alla fronte, in un buffo saluto
di stile vagamente militare.
Gina lo guarda e ride, con il viso
che esprime simpatia, fiducia e affetto,
quel che a parole non saprebbe dire.
"Gina, le voglio bene veramente,
vorrei darle del tu, me lo permette?"
Gina arrossisce e svelta china il capo,
mentre sorride, dolce, imbarazzata:
"Me lo dia pure, se lo preferisce."
"Però anche lei...anche tu, Gina...anche tu...
se no neanch'io, se no...altrimenti niente."
Un attimo, e rimangono in silenzio,
stanno di fronte, mano nella mano.
In bicicletta Carlo è andato piano,
è ancora presto, inutile rischiare.
C'è poca gente al Campo degli Orti,
il grosso arriverà tra una mezzora,
così trovano un posto tra i migliori,
si resta in piedi, ma si vede bene,
e l'importante è che si stia vicini.
Carlo racconta a Gina altre partite,
storie che spesso passano nel mito,
vittorie che diventano trionfi,
ma le sconfitte non se le ricorda.
"La vita ed il destino, cara Gina,
son come una partita di pallone:
bisogna andare avanti, sempre avanti,
strappar metri di campo all'avversario,
cioè alla malasorte e alla sventura,
agli ostacoli posti sul cammino,
sicuri di arrivare fino in porta,
tirare giusto, centrare il bersaglio,
sempre convinto che ce la puoi fare.
Questo è il segreto del grande campione:
la convinzione di essere più forte
di tutto quello che si muove intorno,
freddo, calore, rabbia, ostruzionismo,
fatica, rischio e condizioni avverse.
Il campione sovrasta tutto questo,
avanza fino al centro dell'attacco,
penetra le difese, chiede palla,
prende la mira, calcia, e segna il punto."
Ora le squadre son schierate in campo,
un fischio, è cominciata la partita.
"Chi sono i nostri?" "Quelli in maglia grigia,
e i neroazzurri gli avversari, il Pisa,
pericolosi, una gran bella squadra,
però siamo più forti noi: si vince!
Attenta Gina, là, il numero dieci:
quello è il migliore, il più grande di tutti!
Quando decide che è venuto il tempo,
parte da solo, scarta gli avversari,
uno per uno, tutti, fino in fondo,
non ha paura, mai tentennamenti,
pallone al piede, può far quel che vuole,
sa che può farlo. E adesso tira: rete!
Viva Balòn, evviva Baloncieri!"

Viva Balòn, evviva Baloncieri,
piede di Dio, arciere dell'Olimpo,
tribuno del trionfo e della gloria,
fulmine, eroe, vessillo di riscossa.
Viva Balòn, evviva Baloncieri!

Avanti, sempre avanti, fino in fondo,
fino al traguardo, fino alla vittoria!
Da adesso in poi la vita sarà bella,
sarà più dolce il mondo, e anche più giusto.
Trapasseranno questi giorni tristi,
e resteranno solo nel ricordo,
memorie collettive da narrare
intorno al fuoco di notti d'inverno:
i primi scioperi e la reazione
dei proprietari, con i loro sbirri,
la settimana rossa, le rivolte,
le cannonate di Bava Beccaris.
Favole antiche, genesi del mondo
che riusciremo a costruire, infine.
E poi potremo ancora raccontare
di quando ci han fermato con la guerra,
frenando la riscossa del lavoro,
dei contadini e del proletariato,
di quando hanno comprato gli squadristi
dalle camice nere, trasformando
una rivoluzione in un restauro
del solito potere dei borghesi,
dei parassiti e dei latifondisti.
Ma tutto questo dovrà terminare,
andremo noi all'attacco, questa volta,
con la certezza di essere i campioni,
di andare a rete e di segnare il punto.

Viva Turati, evviva il Socialismo,
trionfo della pace, del lavoro,
dell'uguaglianza, della fratellanza,
del pane, della casa, del diritto,
della felicità, e della certezza
che non ci sarà più povera gente.

Viva Balòn, evviva Baloncieri!
Dopo il suo goal Carlo ha abbracciato Gina,
l'ha stretta forte, e le ha dato un bacio.
Il loro amore non avrà più fine,
si sposeranno, avranno anche dei figli,
affronteranno insieme, ad ogni passo,
le grandi cose, e quelle di ogni giorno:
la fabbrica, il salario, il carovita,
l'affitto della casa, i sacrifici,
la dittatura, e ancora un'altra guerra.
Carlo lavorerà in un lanificio
lontano da Alessandria, nel Biellese,
tornando ogni domenica mattina
in bicicletta, e ripartendo a sera.
Gina farà lavori di cucito
restando a casa, da che, al primo figlio,
la fabbrica l'aveva licenziata.
Carlo scriverà a Gina poche righe
per dirle che domenica non torna:
la sera partirà per la montagna
con la sua foto ed un fucile in spalla,
il pianto in gola, la certezza in cuore
di "conquistar la rossa primavera".
Ritornerà da Gina due anni dopo,
la barba lunga, qualche filo bianco
tra i suoi capelli, e resterà con lei,
per vivere la vita di ogni giorno
e a sera ricordare i vecchi tempi
del primo incontro e della prima uscita,
quel Ventitre di Ottobre del Ventuno,
la bicicletta, il Bormida ed il Campo
degli Orti, che quel giorno l'Alessandria
faceva esplodere dall'entusiasmo
battendo il Pisa per tre reti a zero,
tre segnature fisse nel ricordo:
Brezzi, secondo gol, Gandini il terzo,
e più di tutti il primo: Baloncieri! (10)


II
Carluccio sta appoggiato alla panchina,
si è tolto il casco, ha chiuso il motorino.
Nessuno degli amici è già arrivato,
d'altronde è troppo presto, lo sapeva,
ma dopo cena stare in casa è un dramma.
Sua madre accende la lavastoviglie
e poi va a letto, col suo mal di testa
cronico, eterno come le novelas
televisive d'ogni pomeriggio,
suo padre accende la televisione
e dopo salta da un canale all'altro
finché non si addormenta sul divano,
e sua sorella fissa il terminale,
assorta nelle sue meditazioni
sull'uso esatto d'Internet, di Windows
e d'altro cibernetico ciarpame.
Uscire, uscire, via da questo inferno!
Meglio stare appoggiato a una panchina
ad aspettare per tre quarti d'ora
che arrivino gli amici, uno per volta.
Poi finalmente arriverà qualcuno
che ha già l'età per la patente, e il padre
che gli concede l'auto per la sera.
Faranno qualche giro nei dintorni
aspettando che venga mezzanotte,
quando si potrà andare in discoteca.
Ma per adesso è solo, e sta pensando.
Ieri, in soffitta, in un vecchio baule,
tra un abito da sposa ed un berretto,
giornali e libri laceri, ammuffiti,
un vecchio macinino da caffè,
pipe, ciabatte, tabacchiere vuote,
fermagli per capelli ed un ventaglio,
ed altra roba da buttare via,
ha visto anche una foto d'altri tempi,
in bianco e nero, spessa ed ingiallita
con due persone che erano ritratte:
due giovani, un ragazzo e una ragazza,
magrissimi ed entrambi malvestiti,
ma di un'indescrivibile bellezza
del viso, della posa e degli sguardi.
Il giovane fissava l'obbiettivo
reggendo al fianco una bicicletta,
e la ragazza guardava di lato,
tenendo stretto al braccio un canestrello
pieno di chissà cosa, forse frutta,
spighe di grano o fiori di campo,
altro non si potrebbe immaginare.
Sua madre ha detto che quei due ragazzi
erano nonno Carlo e nonna Gina,
papà e mamma di lei, fotografati
in una qualche Fiera di San Giorgio (11),
diverso tempo prima di sposarsi,
probabilmente ai loro primi incontri.
Carluccio ha conosciuto, ormai da vecchi,
i nonni, però li ricorda appena.
Nonna Gina era curva, quasi cieca,
piccola e magra come una bambina;
non l'avrà vista più di due o tre volte,
gli dava sempre qualche caramella,
lo accarezzava e gli parlava piano,
talmente piano che lui non capiva.
Nonno Carlo era un vecchio col bastone,
parlava molto e ricordava sempre
chissà che cosa, chissà quali storie;
sembrava burbero, ma a sentir tutti,
era un brav’uomo, generoso e onesto.
Altro non si ricorda, a parte il fatto
che erano morti nello stesso giorno,
ed erano passati ormai dieci anni.
Che strana sensazione, a rivederli
così diversi, così: adolescenti.
Dunque eran stati giovani anche loro?
Dunque non eran stati sempre nonni?
Strano pensare ai loro primi anni,
ai loro sogni, al loro primo amore.
Davvero assurdo adesso, rivederli
così diversi, così: quasi finti.
Carluccio ha letto, dietro a quella foto,
l'oscura frase, mezza cancellata
dal tempo e dall'alone dell'inchiostro:
che cosa mai avrà voluto dire?
Che cosa nascondeva quel messaggio
che adesso ha ricevuto tra le mani,
per caso, dopo più di settant'anni?
Sua madre non lo sa, né le interessa,
è troppo presa dal suo mal di testa,
troppo distratta dai suoi mille impegni;
sua sorella è impegnata col computer,
guai a disturbarla, e poi non capirebbe;
suo padre, approfittando di una pausa
della pubblicità, che lo distoglie
dall'ossessivo bersi dei programmi,
concede al figlio il tempo di un quesito:
"Dimmi, papà: chi era Baloncieri?"
Suo padre gira in mano quella foto,
ne legge l'iscrizione del risvolto,
poi gliela restituisce, insoddisfatto.
"Tuo nonno Carlo, il padre di tua madre,
era un originale, un poco matto.
Era pur sempre un uomo d'altri tempi,
credeva ancora nelle ideologie,
nella politica, e altre cose vecchie.
Chissà chi sarà stato Baloncieri?
Qualche suo amico matto come lui,
un qualche arruffapopoli senz'altro,
forse un anarchico, un sindacalista,
un perdigiorno, magari un fascista...
che ne so io, poi, cosa mi interessa?
E adesso zitto, che comincia il film!"

Adolfo Baloncieri, di Alessandria,
detto Balòn, campione silenzioso,
forse il più grande campione del calcio,
sta nella storia. Baloncieri è morto
nel Millenovecentottantasei.

Carlo e Gina son vissuti insieme,
han vinto insieme, come due campioni,
giorno per giorno, oltre sessant'anni
e sono morti nello stesso giorno.
Ora, anche loro, stanno nella storia.

Carluccio osserva la fotografia,
e pensa ai genitori, che han disperso
quel patrimonio grande di memoria,
di slancio, di speranza e di valori.
Non sa che cosa sia, ma sa che esiste,
che va recuperato, ritrovato:
lo dicono gli sguardi dei suoi nonni,
quei loro sguardi pieni di bellezza,
di vita, di entusiasmo, di coraggio.
Gira la foto, legge l'iscrizione,
la misteriosa frase, e la ripete
chiudendo gli occhi, piano, sottovoce:
"Viva Balòn,
evviva Baloncieri".

NOTE

L’utilizzo in alcuni tratti di uno stile enfatico e retorico è funzionale alla restituzione, per quanto possibile più vicina alla realtà, dell’atmosfera dell’epoca in cui la storia si svolge. La “scelta di campo” del protagonista, di idee socialiste, che aderisce alla Lotta Partigiana piuttosto che alla Repubblica Sociale Italiana non incide minimamente sul senso della poesia, che non presenta, né assolutamente vuol presentare, accogliere o propagandare un qualunque contenuto ideologico: le idee e i contrasti sono quelli del tempo, perciò vale lo stesso discorso di prima, circa la restituzione di un’atmosfera storica. Più che una vera e propria poesia, “Baloncieri” si propone come un “racconto in endecasillabi”, una via di mezzo tra poesia e narrativa.

Adolfo Baloncieri (1897-1986) fu un grandissimo calciatore, nel periodo fra le due guerre, giocando come interno di regia nell’Alessandria e nel Torino e vestendo per 47 volte la maglia della Nazionale Italiana, segnando 25 reti. Partecipò alle olimpiadi del 1920, 1924 e 1928. Esordì in nazionale a Genova, contro l’Olanda, il 13 maggio 1920; giocò la sua ultima partita contro la Spagna il 22 giugno 1930. Secondo il grande giornalista, scrittore e storico del calcio Gianni Brera, si potrebbe forse considerare il più grande calciatore italiano di tutti i tempi.

(1) Il “Cristo” è un quartiere di Alessandria

(2) Valmadonna è una frazione di Alessandria, a metà strada tra il capoluogo e Valenza

(3) La “Borsalino” è un’antica fabbrica di cappelli di Alessandria

(4) Il Bormida è uno dei due fiumi su cui sorge Alessandria, l’altro è il Tanaro. Ancora non molti anni or sono tanti alessandrini passavano le domeniche sulle rive del Bormida o “della Bùrmida”, come si dice sul luogo

(5) La “grissia” è, secondo l’espressione dialettale del luogo, una grossa pagnotta.

(6) “Prima che si scura” è un’espressione semi-dialettale che traduce: “Prima che venga sera”

(7) “Gli Orti” è un quartiere di Alessandria (tra l’altro devastato dall’alluvione del Tanaro del 1994), dove sino agli anni “30 sorgeva lo stadio di calcio, il “Campo degli Orti”, poi sostituito dal “Moccagatta”

(8) Si fa riferimento a Giovanni Ferrari (1907 - 1982), nato nel poverissimo quartiere della “Canarola”, che sarà poi un grande giocatore dell’Alessandria, della Juventus, dell’Inter e del Bologna, otto volte campione d’Italia, e campione del Mondo con la Nazionale di Vittorio Pozzo, nel 1934 e nel 1938

(9) “Carlèn” è diminutivo dialettale di Carlo; Costante Girardengo (Novi Ligure, 1893 – Alessandria, 1978), era il “campionissimo” del ciclismo di quegli anni.

(10) La partita Alessandria - Pisa si è effettivamente disputata il 23 Ottobre del 1921, con la vittoria dei “Grigi”, come viene chiamata dai tifosi la squadra dell’Alessandria, per tre a zero, con reti di Baloncieri, Brezzi e Gandini. Sebbene la storia di Carlo e Gina sia di pura fantasia, la si è voluta inserire, “manzonianamente” in un contesto storico credibile, con l’utilizzo di precisi riferimenti, per l’appunto, storici.

(11 ) La Fiera Agricola di San Giorgio si tiene ad Alessandria, nel quartiere degli Orti, ogni anno in primavera.

3 commenti:

Edgardo Rossi News ha detto...

Voglio essere il primo a commentare, è ovvio che lo sia, per sottolineare la grandezza artistica ed espressiva di questa composizione poetica
E.

Anonimo ha detto...

Un poeta che ha lasciato un segno
uno scrittore di grande valore
un uomo senza pari
questo e molto altro e' stato ed e'
Silvano baracco

DocEIR ha detto...

Una grandissima opera d'arte